di Cristina Coccimiglio
Lo spazio è un dubbio: devo continuamente individuarlo, designarlo. Non è mai mio, mai mi viene dato, devo conquistarlo.
(Georges Perec, Specie di spazi)
Per incarnare il pensiero bisogna partire sempre dall’evento, che è ciò che ci rimette in discussione e ridisegna i confini del nostro vivere (Arendt, 1958). Cosa significa oggi ancorare «l’agire insieme» alla sussistenza del «mondo comune»? In tempi di quarantena, trascorrere il tempo del lavoro e il tempo del privato nello stesso luogo comporta – in particolare per le donne – un carico di lavoro sommerso, di cura emotiva di figli e di anziani in uno spazio domestico che diventa un caleidoscopico contenitore di tutti gli aspetti della vita. Di conseguenza, si amplificano le criticità legate ad una costante nell’esistenza di ogni donna: l’asimmetria dei ruoli. Sappiamo che è sufficiente una crisi politica, economica o religiosa perché i diritti delle donne, mai definitivamente acquisiti, siano rimessi in discussione.
Il carico fisico e mentale aumenta anche per le lavoratrici impegnate nel mondo dell’educazione e dell’istruzione. Il tempo donato origina in primo luogo da un tempo abitato e vissuto: partendo da sé e dalle categorie di pensiero che questa esperienza evoca, le docenti e i docenti possono sperimentare (Cfr. F. Caprino, Educazione alla parità di genere nei sistemi educativi europei: i contesti e le pratiche in Gender School. Affrontare la violenza di genere) percorsi condivisi con l’obiettivo di far crescere e valorizzare la relazione educativa con i pari e con gli studenti. In questo tempo di crisi è più difficile aver cura del sapere e restituirlo in modo costruttivo. A seguito dell’adozione di misure di contenimento da parte dei governi in pandemia, la possibilità di esperire inoltre si impoverisce: gli spazi collettivi come scuole e aule universitarie, teatri e cinema, mare, strade, piazze, parchi e musei ci vengono a lungo sottratti.
Gli spazi che restano non sono gli stessi per tutte e per tutti gli studenti, né le opportunità di accesso a una rete che si configura sempre più come «costellazione tecnica di tutti gli spazi antropologici» (Ardovino: 2012, ). Nel rapporto tra internet e l’apparato politico-istituzionale si va parallelamente riconfigurando il concetto tradizionale di comunità. Per anni inoltre si è trattato e discusso di conciliazione di tempi e modi del lavoro, di condivisione dei ruoli, di opportunità offerte dalle nuove tecnologie e metodologie per la didattica e, da un giorno all’altro, in modo perentorio, abbiamo avuto a livello mondiale la necessità di applicarle in modo molto più capillare, scontando purtroppo ancora i gravi limiti imposti dal digital-divide.
Cosa resta? Cosa fare degli spazi che restano? Resta un tempo che va liberato, affinchè sia per definizione il tempo della scuola, come suggerisce etimologicamente il significato del termine. Per la didattica in ottica di genere sarebbe opportuno occupare lo spazio del ripensamento dei contenuti (oltre che dei metodi), attraverso la sperimentazione di percorsi interdisciplinari.
A questo proposito, ci si può ispirare agli esempi presentati in La differenza insegna. La didattica delle discipline in una prospettiva di genere (2014) che, proponendo molti spunti in questo senso, invita a sperimentare nuovi percorsi a partire dalle singole discipline (geografia, letteratura, storia, scienze, filosofia), invitando alla contaminazione. In secondo luogo, sarebbe utile riflettere con i ragazzi sul valore degli spazi comuni e di quegli spazi, ad esempio, che in tempi ordinari sono nati per difendere le donne proprio ad esempio dalla violenza domestica (Bagattini D. e Pedani V., Mappe per conoscere, definire, stabilire i confini della violenza di genere), che spesso le istituzioni hanno dimenticato e di cui sarebbe importante tornare ad avere cura. È il caso, ad esempio, a Roma, della Casa Lucha y Siesta (si veda anche Indagine ‘I centri antiviolenza ai tempi del coronavirus’ a cura del Progetto ViVa), luogo materiale e simbolico di autodeterminazione delle donne contro ogni discriminazione di genere. Si tratta di un progetto ibrido tra casa rifugio, casa di semiautonomia e centro antiviolenza. Nato dalla lotta e dall’autorganizzazione delle donne, il centro della Casa Internazionale delle Donne, da un decennio dona ascolto e accoglienza alle donne che ne hanno necessità ed è anche un laboratorio culturale che ha prodotto progetti di inclusione sociale attiva, blog per contrastare gli stereotipi di genere e esperienze di cineforum.
Per spazio pubblico si intende anche generalmente il luogo simbolico delle libertà civili e democratiche di manifestazione, di parola e di espressione ma bisogna ricordare due aspetti: innanzitutto che esso non si declina solo come spazio esterno. È infatti «esigenza dell’anima» (Weil: 1949), proprio in quanto l’uso di esso ha valore sociale. In secondo luogo, come ha recentemente rimarcato la storica dell’architettura e docente di Urban Studies, Françoise Choay, l’importanza del diritto allo spazio comune resta una garanzia irrinunciabile di continuità culturale e antropologica. Oggi che percepiamo con chiarezza il valore sociale e antropologico degli spazi condivisi è importante far riflettere su come la difficoltà a definire lo spazio pubblico risieda in ciò che in esso può essere identificato come comune. Questo significa anche ripartire dall’opportunità di pensare innanzitutto la scuola come spazio fisico comune insostituibile,ma bisognoso di essere riprogettato, dopo una crisi sanitaria e socio-economica, affinchè continui a svolgere ancora il proprio concreto ruolo educativo, sociale e antropologico.
La riflessione sugli spazi è inoltre decisiva perché ne va del concetto di limite. È proprio dal fallimento di una riflessione profonda sul concetto di limite con gli adolescenti che nasce una grave lacuna nell’educazione dei ragazzi in ottica di prevenzione della violenza di genere. Il rifiuto molto spesso non è accettato dai ragazzi, se non come interruttore di una energia volta a superare l’ostacolo, a vincere la sfida, a dimostrarsi superiori ai propri limiti (Gasparrini: 2019).
Ricordare come il linguaggio (Cfr. «Glossario» a cura di A. Lombardi, S. Panatta, L. Pocchiari, in Gender School. Affrontare la violenza di genere), soprattutto in questi mesi, abbia il potere di plasmare storie, corpi, immagini e parole è possibile anche attraverso gli interventi online sugli stereotipi nella comunicazione come quelli disponibili in rete e di cui è autrice, ad esempio, la professoressa e sociologa Priulla, autrice, nel 2013, di C’è differenza. Identità di genere e linguaggi: storie, corpi, immagini e parole. Altri contributi invece per la scuola primaria possono essere immaginati sulla scia di quanto suggerito già nel 2010 dalla ricercatrice Biemmi, autrice di una riflessione sempre attuale sugli stereotipi di genere nei libri scolastici (diversi sono anche i contributi video consultabili online).
Si può fruire inoltre degli interventi delle autrici della Società delle storiche, che in questi giorni presentano online volumi da loro stesse curati o delle lezioni (open access) di studiose e ricercatrici del Master dell’Università di Roma Tre in Studi e Politiche di Genere. Per ripensare il tempo libero infine ci si può riappropriare dello spazio della scrittura, come uno spazio al confine tra il proprio e il comune e che, nascendo dall’assenza, resta esperibile e praticabile perchè si nutre proprio di assenza e di pensiero. A questo proposito segnalo una lettura piacevole online, Scrittrici in lockdown, che presenta interessanti interviste ad alcune scrittrici sul rapporto con la scrittura ed è ricca di suggerimenti di lettura per i docenti. Ricordiamo inoltre le risorse sempre disponibili sul sito Gender School, e in particolare la «Piccola guida di educazione trasformativa per promuovere resilienza a scuola nell’ambito della violenza di genere» a cura della ricercatrice INDIRE Garista e i materiali, le risorse e i contributi di tutto il gruppo di lavoro INDIRE sempre consultabili online.
Riferimenti bibliografici
Ardovino A. (2011). Raccogliere il mondo. Per una fenomenologia della rete. Roma: Carocci.
Arendt H.(2017). Vita Activa, Milano: Bompiani.
Biemmi I.(2010). Educazione sessista: Stereotipi di genere nei libri delle elementari, Torino: Rosenberg & Sellier.
Burchi S. (2014). Ripartire da casa. Lavori e reti dallo spazio domestico, Milano: Franco Angeli.
Gasparrini L.(2019). NO. Del rifiuto e del suo essere un problema, Firenze: EffeQu.
Giardini F. (2012), Beni comuni, una materia viva in Politica dei beni comuni. Un aggiornamento, «DWF», 2, 2012.
Marzano M. (2010). La filosofia del corpo, Genova: Melangolo.
Priulla G. (2013). C’è differenza. Identità di genere e linguaggi: storie, corpi, immagini e parole, Milano: Franco Angeli.
Weil S. (1949). L’enracinement. Prélude à une déclaration des devoirs envers l’être humain, Paris: Éditions Gallimard.